IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Visti  gli atti del procedimento penale n. 8658/1987 r.g. a carico
 di Giordano Giuseppe,  nato  a  Montefredane  il  22  dicembre  1941,
 imputato del reato di cui all'art. 590 del codice penale;
    Sciogliendo  la riserva in ordine alla eccezione di illegittimita'
 costituzionale degli artt. 247 del d.-l. 28 luglio 1989, n. 271 e 438
 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 477;
    Sollevata dalla difesa dell'imputato;
    Sentito il p.m.;
                            OSSERVA IN FATTO
    Nel  procedimento  penale di cui in premessa, prima del compimento
 delle formalita' di apertura del  dibattimento,  l'imputato  avanzava
 richiesta  di  giudizio abbreviato sulla quale il pubblico ministero,
 negava il proprio consenso. Avendo il giudicante disposto,  ai  sensi
 del  terzo  comma  dell'art. 247 del d.-l. 28 luglio 1989, n. 271, di
 procedersi nelle forme ordinarie, la  difesa  sollevava  la  predetta
 eccezione di illegittimita' costituzionale.
                               IN DIRITTO
    Deve  ritenersi  indiscutibile - atteso il chiaro tenore letterale
 delle due disposizioni sospettate di  incostituzionalita'  -  che  il
 dissenso   manifestato   dal   pubblico   ministero  sulla  richiesta
 dell'imputato  di  ammissione  al   giudizio   abbreviato,   non   e'
 sindacabile  da  parte  del  giudice  cui,  pertanto,  e' preclusa la
 possibilita' di valutare  la  sussistenza  o  meno  delle  condizioni
 richieste per la definizione del processo allo stato degli atti.
    Questo  sostanziale potere di veto, tuttavia, non ha una efficacia
 limitata alla sola scelta del rito, ma produce anche  conseguenze  in
 ordine  al  trattamento  penale  del giudicabile che, per effetto del
 mancato  consenso,  perde  la  possibilita'  di   beneficiare   della
 riduzione della pena (art. 442, secondo comma).
    Nella   fattispecie,   d'altronde,  non  e'  neppure  prevista  la
 possibilita'   (espressamente   disciplinata   dall'art.   448    con
 riferimento  esclusivo all'istituto della "Applicazione della pena su
 richiesta delle parti") per il giudice  di  ritenere,  all'esito  del
 dibattimento   di   primo  grado  o  nel  giudizio  di  impugnazione,
 ingiustificato il dissenso espresso dal p.m. ed applicare (se non  il
 giudizio     abbreviato    ormai    irrimediabilmente    pregiudicato
 dall'esaurimento  del  rito  ordinario)  almeno  il  beneficio  della
 riduzione   della   pena.   Quindi,  le  due  disposizioni  in  esame
 attribuiscono al pubblico ministero un ruolo  esorbitante,  non  solo
 nei confronti dell'imputato, bensi' anche e soprattutto nei confronti
 del giudice.
    Infatti,   sotto  il  primo  profilo,  le  norme  in  esame  fanno
 discendere   da   un    apprezzamento    discrezionale    del    p.m.
 l'applicabilita'   o   meno  di  uno  specifico  schema  processuale,
 introducendo,  quando  il  parere  sia  negativo,  un  ingiustificato
 squilibrio  con  la  difesa che non e' piu' in grado di far valere le
 proprie argomentazioni nella pienezza  degli  sviluppi  dello  schema
 processuale  ordinario.  E  cio'  contrasta  gia' con la posizione di
 parte attribuita al p.m. dello stesso codice.
    Sotto   il   secondo  profilo,  la  disciplina  de  qua  introduce
 inaccettabili limitazioni per il giudice che  vede  indiscutibilmente
 compresso  il proprio potere decisionale. Per tutte le considerazioni
 che  precedono  la  sollevata  eccezione  di  incosituzionalita'   va
 dichiarata non manifestamente infondata.
    La rilevanza della questione discende, invece, dai riflessi che ne
 derivano, nel presente giudizio, sia in ordine alla scelta  del  rito
 sia in ordine al trattamento del giudicabile.
    In  dettaglio,  l'istituto,  come  disciplinato dalle disposizioni
 richiamate contrasta con i seguenti parametri costituzionali:
       A) art. 3:
       1)  per  la  violazione  del principio di uguaglianza a seguito
 della irragionevole disparita' di trattamento  riservata  alle  parti
 del processo, poiche' le ragioni di quella privata sono sottoposte al
 vaglio del giudice mentre le ragioni di quella pubblica si  impongono
 allo stesso giudice prescindendo da una imparziale valutazione;
       2) per la ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati
 che, nel caso di condanna, possono  beneficiare  della  riduzione  di
 pena  ed  imputati che, stante il dissenso del p.m. alla celebrazione
 del rito abbreviato,  non  possono  godere  di  analogo  beneficio  a
 prescindere  dal  fatto  che  ricorrano  o  meno  le  possibilita' di
 definire il processo allo stato degli atti;
       B)  art.  24,  primo  e  secondo  comma: in quanto la richiesta
 dell'imputato di ammissione al giudizio abbreviato  e'  sottratta  in
 modo   definitivo  alla  valutazione  del  giudice,  con  conseguente
 compromissione delle possibilita' di difesa di fronte ad  un  diniego
 insindacabile;
       C) art. 101, secondo comma: in quanto l'insindacabile decisione
 del p.m. di consentire o meno la definizione del processo con il rito
 abbreviato comporta non solo effetti di naura processuale ma anche di
 carattere sostanziale incidendo sulla decisione del giudice sia  pure
 limitatamente  alla  quantificazione  della  pena  nella  ipotesi  di
 condanna.